Amato tanto così
me lo ridici
amato tanto.
Timida molto audace
la stessa diversa persona sei tu,
e per cambiare ti basta saperlo,
che non sei mai la stessa,
nemmeno a volerlo.
I simboli non sai cosa siano,
un'ortensia non è nemmeno quella.
Hai la pazienza di un'onda
compresa la tendenza
a soffermarti mai,
come fosse la fine.
Non un dito notevole,
ma dieci impercettibili soprusi,
aperti come i mari,
e come i mari chiusi.
Neri i tuoi neri sconvolti
divampati imperi irrisolti,
e matematicamente rivolti
a contenere zeri.
Impensabili però malleabili,
ballabili mammelle
abbracciate alle quali volteggi
sotto il lampadario delle stelle,
inutilmente imitatrici dei tuoi denti.
Prendi, e dagli spaventi
tanto sentimentali,
tiri le diagonali dei sospiri violenti.
Svegliata la mattina,
guardi nel posto accanto
lo sfinito e per quanto
respira o non respira.
Sai che non si è mai la propria vita,
la tua ti serve appunto per certezza,
tu vivi e lasci vivere te stessa
con un congedo, con una carezza
sicura con la mano, sicura con la mano,
con la guancia perplessa.
Sciolta come le braccia
scomparirà la neve:
per sempre se ne andrà,
e se dovrà ricadere
sarà come un armadio che si sgancia
e precipita dal cielo in tante schegge.
E tuttavia, però comunque sia,
bellezza e compagnia
non vanno bene,
non si legano insieme.
Risentirai la neve risuonare
dentro le risatine,
come un piacere
che non sai trattenere.
La neve tornerà come un pretesto
dipinta e sempre finta,
e tu la irridi,
la lusinghi e la sfidi
e la solleva il tuo sbuffo selvaggio.
me lo ridici
amato tanto.
Timida molto audace
la stessa diversa persona sei tu,
e per cambiare ti basta saperlo,
che non sei mai la stessa,
nemmeno a volerlo.
I simboli non sai cosa siano,
un'ortensia non è nemmeno quella.
Hai la pazienza di un'onda
compresa la tendenza
a soffermarti mai,
come fosse la fine.
Non un dito notevole,
ma dieci impercettibili soprusi,
aperti come i mari,
e come i mari chiusi.
Neri i tuoi neri sconvolti
divampati imperi irrisolti,
e matematicamente rivolti
a contenere zeri.
Impensabili però malleabili,
ballabili mammelle
abbracciate alle quali volteggi
sotto il lampadario delle stelle,
inutilmente imitatrici dei tuoi denti.
Prendi, e dagli spaventi
tanto sentimentali,
tiri le diagonali dei sospiri violenti.
Svegliata la mattina,
guardi nel posto accanto
lo sfinito e per quanto
respira o non respira.
Sai che non si è mai la propria vita,
la tua ti serve appunto per certezza,
tu vivi e lasci vivere te stessa
con un congedo, con una carezza
sicura con la mano, sicura con la mano,
con la guancia perplessa.
Sciolta come le braccia
scomparirà la neve:
per sempre se ne andrà,
e se dovrà ricadere
sarà come un armadio che si sgancia
e precipita dal cielo in tante schegge.
E tuttavia, però comunque sia,
bellezza e compagnia
non vanno bene,
non si legano insieme.
Risentirai la neve risuonare
dentro le risatine,
come un piacere
che non sai trattenere.
La neve tornerà come un pretesto
dipinta e sempre finta,
e tu la irridi,
la lusinghi e la sfidi
e la solleva il tuo sbuffo selvaggio.