Il sangue è il mio splendore e il mio rifugio
Dal profondo degli occhi
mi strapparono la luce e la dolce tiepida notte.
Ora il lampo del giorno sorge solo dietro la fronte e mi accende due cavità insanguinate.
Nel cavo della mano si spensero i miei occhi [SPLENDORE E TENEBRA É IL MIO SANGUE] ormai incapaci di pianto
ridevano alla luce
mentre caldo e denso il sangue stillava tra le dita che il carnefice mi conficcò nelle orbite.
Con ogni forza della mente decisi di contare: nella colonna ero il cinquantesimo avanzavamo come una fila per il pane,
una fila che procedeva e si fermava Contavo.. trentun vittime
e sessantadue colpi di coltello.
Un rantolo, una spinta, una caduta un passo ancora.
Un rantolo una spinta una caduta, e il sangue che sgorgava a fiotti.
Con ogni forza della mente addizionavo i colpi, sottraevo i caduti,
ogni grido, ogni singulto
mi feriva nel cuore come un morso.
Sotto il sole feroce ci falciavano
come spighe fruscianti:
con suono uguale ci sgorgava il sangue dalle gole recise.
La fossa è colma, la calce è gettata sui corpi perché i morti non appestino l'aria.
E la fiamma della loro carità
che riscalda i defunti.
Sento i cadaveri che si contraggono mi arrampico, con rabbia istintiva Sento i cadaveri che si contraggono come pesci morti cosparsi di sale.
Si smuovevano, mi slittavano addosso, lentamente franavano e quei morti ridevano, piangevano, gridavano e invocavano, furiosamente tendevano le braccia cercando di afferrarmi...
Sentivo le unghie, le ginocchia, i fianchi,
le bocche inquiete su di me.
Mi arrampicavo con rabbia istintiva premendo su di loro, sui ventri, sui toraci,
e se ne sprigionavo un rantolo, un gorgoglio, ormai non ne avevo più pietà
e forse calpestavo un mio vicino di casa, forse calpestavo mia sorella morta.
CALPESTAVO MIA SORELLA MORTA
Né pianti, né risa, ne lamenti, ne canti.
la luna vagante splende sulle rovine,
il singhiozzo remoto delle fontane tace,
la carogna di un cane giace in mezzo alla strada. il riverbero dei vetri,
il cigolio di una chiave dentro una vecchia serratura,
l'odore dell'incendio e in quell'odore ogni ricordo
le vendemmie e le nozze, un raggio di sole che indora la porta di casa, e le danze, le veglie, i funerali, i lamenti
la pace che regna su un secolo spento
ciò che la vita semina e la morte raccoglie.
Prende liberamente spunto dal poema 'La fossa' di Ivan Goran Kovačić con l"unico intento di esaltare la sofferenza, non di condannarla
proprio per questo molte parti dell"originale sono state estromesse
Dal profondo degli occhi
mi strapparono la luce e la dolce tiepida notte.
Ora il lampo del giorno sorge solo dietro la fronte e mi accende due cavità insanguinate.
Nel cavo della mano si spensero i miei occhi [SPLENDORE E TENEBRA É IL MIO SANGUE] ormai incapaci di pianto
ridevano alla luce
mentre caldo e denso il sangue stillava tra le dita che il carnefice mi conficcò nelle orbite.
Con ogni forza della mente decisi di contare: nella colonna ero il cinquantesimo avanzavamo come una fila per il pane,
una fila che procedeva e si fermava Contavo.. trentun vittime
e sessantadue colpi di coltello.
Un rantolo, una spinta, una caduta un passo ancora.
Un rantolo una spinta una caduta, e il sangue che sgorgava a fiotti.
Con ogni forza della mente addizionavo i colpi, sottraevo i caduti,
ogni grido, ogni singulto
mi feriva nel cuore come un morso.
Sotto il sole feroce ci falciavano
come spighe fruscianti:
con suono uguale ci sgorgava il sangue dalle gole recise.
La fossa è colma, la calce è gettata sui corpi perché i morti non appestino l'aria.
E la fiamma della loro carità
che riscalda i defunti.
Sento i cadaveri che si contraggono mi arrampico, con rabbia istintiva Sento i cadaveri che si contraggono come pesci morti cosparsi di sale.
Si smuovevano, mi slittavano addosso, lentamente franavano e quei morti ridevano, piangevano, gridavano e invocavano, furiosamente tendevano le braccia cercando di afferrarmi...
Sentivo le unghie, le ginocchia, i fianchi,
le bocche inquiete su di me.
Mi arrampicavo con rabbia istintiva premendo su di loro, sui ventri, sui toraci,
e se ne sprigionavo un rantolo, un gorgoglio, ormai non ne avevo più pietà
e forse calpestavo un mio vicino di casa, forse calpestavo mia sorella morta.
CALPESTAVO MIA SORELLA MORTA
Né pianti, né risa, ne lamenti, ne canti.
la luna vagante splende sulle rovine,
il singhiozzo remoto delle fontane tace,
la carogna di un cane giace in mezzo alla strada. il riverbero dei vetri,
il cigolio di una chiave dentro una vecchia serratura,
l'odore dell'incendio e in quell'odore ogni ricordo
le vendemmie e le nozze, un raggio di sole che indora la porta di casa, e le danze, le veglie, i funerali, i lamenti
la pace che regna su un secolo spento
ciò che la vita semina e la morte raccoglie.
Prende liberamente spunto dal poema 'La fossa' di Ivan Goran Kovačić con l"unico intento di esaltare la sofferenza, non di condannarla
proprio per questo molte parti dell"originale sono state estromesse